DOPING | Avvelenati dalla Germania dell’Est

Hanno sognato il trionfo e le medaglie, ma a migliaia di atleti della Germania dell’Est sono state somministrate droghe che potenziano le prestazioni a loro insaputa. Molti stanno ancora soffrendo oggi. 

In ognuno di noi c’era una bomba pronta ad esplodere, ognuno di noi era quella bomba!”. Nella costituzione della Germania Orientale, a partire dal 1974, dopare gli atleti non era consigliato: era una legge scritta, firmata, controfirmata e successivamente protetta dai buoni uffici dei servizi segreti, che controllavo quanto e come il protocollo statale venisse applicato sistematicamente agli atleti di punta, ossia a 10 mila ragazzi in un arco di tempo di vent’anni, più o meno dal 1968 al 1988, dai Giochi estivi di Città del Messico a quelli invernali di Calgary, ragazzi che sono stati capaci, con le loro risorse e con i consigli farmaceutici della grande madre invisibile ma onnipresente, in discipline diverse, ma prevalentemente nell’atletica e nel nuoto, di conquistare 500 medaglie olimpiche: “La differenza fra noi e gli altri dopati dello sport è che tutti gli altri hanno scelto, noi no”, racconta l’ex-ciclista Uwe Tromer, uno degli atleti entrati nel 2006 nel programma di risarcimento del governo tedesco. Dieci anni fa, infatti, nell’ottobre del 2006, il Bundestag varò una legge, molto diversa da quella che aveva reso macchine i “fantastici fenomeni” in blu della Ddr: le vittime del doping sarebbero state ricompensate.

La Germania iniziò a pagare le sue vittime ancora in vita, ma segnate nel fisico, a vario titolo malate croniche, con corpi devastati o completamente trasformati, nel febbraio del 2007. Il risarcimento sarebbe passato attraverso le entrate fraudolente, ma istituzionalmente ineccepibile, dell’ancora attiva Jenapharm, l’azienda farmaceutica di stato della Germania Orientale: sono stati devoluti nell’arco di un anno più di 8 milioni di euro (di cui 4 provenienti appunto dalla Jenapharm): “Ma il danno era stato fatto”. Serviva, quel denaro, se non altro a dimostrare la vicinanza del paese a chi era stato, quasi involontariamente, la luminosa prova di un peccato globale che l’Ovest aveva bisogno di sentire proprio, anche se fu commesso all’Est. E a ripagare, ma non a riparare, qualche profonda lesione morale: “Siamo stati tutti trasformati”, ammette Ines Geipel, la staffettista che guida l’Associazione vittime tedesche del doping. Tromer e Geipel sono soltanto due del gruppo dei risarciti, più di mille, cui sono andati circa ottomila euro a testa. Cifra di valore simbolico. Alcuni non hanno voluto apparire, ma la loro voce si è sentita, stentorea, quando con le più di cento cause intentate alla Jenapharm, puntualmente respinte per mancanza di dati concreti, perché nessuno aveva per esempio messo mai in relazione, con un crisma di ragionevole scientificità, una morte al doping, e soprattutto perché la Jenapharm rispondeva così: “Noi non abbiamo colpe, sono stati gli allenatori a decidere i sovradosaggi!”.

La Germania ha creduto che non ce ne fosse bisogno, di attendere ulteriori approfondimenti. Pensò che bastassero le già avvenute metamorfosi, che i tanti Joseph K che la Ddr aveva prodotto, passati dall’essere umani ad essere altro, fossero sufficienti per smuovere le coscienze. Dopo i 50 anni centinaia di ex-ragazzi dopati sono mutati. Problemi psichici, crepe nella struttura ossea, tumori, deformazioni, alterazioni metaboliche, calcificazioni cardiache, sterilità o possibilità (è successo a 52 atleti della Ddr) di generare figli con disfunzioni (a causa del restringimento dell’utero il feto poteva mal sviluppare gli arti), blocchi renali, danni epatici irreversibili, cambio di sesso: “Il nostro scheletro era minato. Eppure pensavamo: come siamo forti!”, prosegue la Geipel. Vere entrambe le cose. Ma a che prezzo. Cadendo, il Muro si è abbattuto su documenti secretati per decenni. Si pensò che fossero stati distrutti. Alcuni sì, non tutti. Il microbiologo Werner Franke ebbe modo di verificare, raccogliendo tutto quel materiale, come, quando e quanto avvenisse la capillare opera di alterazione degli organismi e delle prestazioni sportive: “Il dosaggio dipendeva dal tipo di sport praticato”. I più elevati rifornimenti criminali venivano riservati al sollevamento pesi. Sono state risarcite anche famiglie di persone scomparse a 40 anni: “Solo da poco si è accostata una morte sospetta all’uso di Oral-Turinabol”.

A 56 anni Ines Geipel riconosce: “Ormai sono una delle più vecchie rimaste in vita”. Nella Germania dell’Est il doping era considerato, oltreché un dovere, una sorta di sperimentazione: gli atleti erano usati come cavie umane. L’Oral-Turinabol, lo steroide anabolizzante androgenico creato dalla Jenapharm, era la strada per la virilizzazione delle donne, cosa che le avvicinava pericolosamente alle prestazioni degli uomini: “Uno degli effetti più clamorosi era l’ingrossamento (dolorosissimo peraltro) del clitoride, che poteva avere uno sviluppo innaturale in tempi rapidissimo. E poi la voce: che diventava nel 30% dei casi più cavernosa”. Marita Koch, ancora primatista del mondo dei 400 metri, non ha mai voluto ammettere di essersi dopati: “E’ l’eterna invidia dell’Occidente”. E non c’è dubbio che ci fossero più ragazze dopate che ragazzi. L’ex pesista Heidi Krieger è diventata Andreas. Al contrario, al sollevatore di pesi Roland Schmidt, gli steroidi fecero crescere un seno spaventoso: una settima misura. Dovette rimuoverlo chirurgicamente quando il suo corpo smise di produrre testosterone. I 5 mila allenatori della Ddr si sono sparsi per il mondo dopo il 1989, nascondendosi per sempre (pochi) o riciclandosi, alcuni persino cambiando nome come nei film di spionaggio.

La loro competenza era comunque alta e spesso richiesta, al di là della somministrazione del doping secondo il vangelo di stato. Da qualche mese si indaga sempre più da vicino sulle morti scomode: “Ci davano le pillole come fossero caramelle”. Nessuno sapeva niente, nessuno dubitava: “Quando mi scomparve quasi del tutto il seno pensai: guarda come sto lavorando bene in palestra”. Ma non era esattamente questo il motivo. Tutto ruotava intorno all’efficacia dell’Oral-Turinabol (il 4-clorodeidrometiltestosterone), che l’azienda mise a punto a metà degli anni Sessanta, quando era ancora una piccola compagnia con 40 dipendenti. Sarebbe arrivata a produrne 5 tonnellate all’anno. Alla fine degli anni Ottanta il fatturato della Jenapharm aveva superato i 250 milioni di marchi, circa 150 milioni di euro l’anno. C’è ancora, dopo una serie di vendite di marchio: adesso un sito (jenapharm.de), sotto la triplice forza pubblicitariamente evocativa di “amore, vita e salute” propaganda prodotti contro l’invecchiamento della pelle e per la disfunzione erettile. Il problema, senza offesa, è fidarsi.